

Oggi parliamo di corruzione, di giustizia, di democrazia.
Parliamo di corruzione quando rivolgiamo lo sguardo sull’azione della magistratura che sta facendo emergere una realtà che conferma e molto spesso supera di gran lunga anche la più incredibile supposizione che si poteva fare in merito al potere concessorio e ai margini di manovra di cui hanno potuto godere personaggi di primo piano della politica sammarinese.
Ben venga in questa direzione l’azione riformatrice che il nostro paese ha intrapreso per correggere questa distorsione. Unico rammarico è quello che molto spesso sono state scelte imposte da altri. Prendiamo il buono e continuiamo su questa strada con la giusta consapevolezza e con rinnovata determinazione.
La politica ha il dovere di interrogarsi su quali siano state le condizioni perché questo sistema si potesse affermare con così grande virulenza ed introdurre gli anticorpi necessari perché questo non avvenga mai più.
Dai banchi della maggioranza in tanti hanno sostenuto che questi anticorpi sono già presenti. Peccato che in tante occasioni anche in questa legislatura le azioni concrete dell’esecutivo non abbiano corrisposto a questo assunto.
La politica deve riaffermare la capacità di dettare la linea, di mettere sempre davanti a tutto e tutti il benessere della collettività, gli interessi comuni e quindi deve riprendere a formare una cultura civica e un terreno fertile per la partecipazione attiva e consapevole della cittadinanza alla vita politica del paese. La politica negli ultimi 20 anni ha abdicato a questo ruolo impoverendo il paese.
Una cultura civica fondata sulla solidarietà, sulla giustizia, sull’eguaglianza, sulla competenza, sulla certezza del diritto.
La politica ha grandi responsabilità di quanto sta emergendo dalle indagini della magistratura, ma è stata accompagnata e sostenuta da tanti altri protagonisti del mondo economico, del mondo delle professioni, delle organizzazioni sociali ed infine dai singoli cittadini che hanno scelto percorsi più veloci e più redditizi per soddisfare i propri bisogni, hanno privilegiato il privilegio rispetto al merito o alla regola dettata dalla legge.
Giustizia
Si è verificata la convergenza verso un pensiero dominante che ha messo il denaro al centro di tutto. Che ha rifuggito l’etica della responsabilità. Che non ha curato e promosso la professionalità e la competenza. Tale sistema innescato dal rapporto del “principe” con il cliente di turno ha eroso notevolmente la capacità della nostra comunità di discernere, di discriminare tra ciò che è giusto e ciò che è facile, tra le differenti visioni dell’agire politico che, ricordiamolo con forza, è sempre stato presente, e ha reso tutti noi sempre più soli, sempre più incapaci di lavorare e ragionare per un bene che potesse superare e trascendere la sfera individuale.
L’affermazione della certezza del diritto e una magistratura in grado di svolgere al meglio il proprio ruolo, diventano elementi cruciali per la politica al fine di dare la necessaria risposta di sistema capace di superare una fase di profonda crisi. Crisi talmente profonda tale da mettere a rischio anche la capacità di riaffermare la sovranità e la capacità del paese di darsi una prospettiva per il futuro.
Una magistratura autorevole e strumenti di indagine efficaci rappresentano un ulteriore ingrediente capace di eradicare i mali evidenziati dalle indagini, capaci anche di elevare il sistema immunitario del nostro sistema paese.
Democrazia
In questi anni quindi la deriva della politica e la sua incapacità di vedere più lontano del proprio naso, ha messo a rischio il riconoscimento ed il valore di un impegno e di una tensione emotiva e morale che contraddistinguono la democrazia e la capacità di stare insieme di una comunità che può vantare una storia prestigiosa e unica nel suo genere.
Abbiamo accumulato debito. Un debito improduttivo che non è stato utilizzato per investire nel futuro, ma è stato utilizzato per alimentare il privilegio e la corruzione, ha alimentato l’autorefenzialità e le manie di grandezza di qualche irresponsabile che insieme alla sua cricca si è lasciato andare all’ebrezza del senso di onnipotenza indotto dal dio denaro e dall’identificazione con il “principe”.
In tanti hanno sottolineato come l’azione della magistratura e l’adeguamento della nostra legislazione stanno fornendo soluzioni e risultati per affermare un percorso di trasformazione del nostro paese.
Altro elemento centrale è la capacità della politica di rinnovarsi nei metodi e nelle persone. Lo strumento per innescare questo processo virtuoso della politica è la partecipazione attiva della cittadinanza alla vita sociale e politica del paese.
Vorrei citare in chiusura una famosa testimonianza di Antonio Gramsci che dona a tutti noi un monito e un insegnamento da tenere sempre stretto nel nostro sentire più profondo e soprattutto a praticare quotidianamente.
Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica.
L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.