SLIDE RIASSUNTIVE RIFORMA PENSIONISTICA
DOCUMENTO RIFORMA PENSIONISTICA
Elaborato dal gruppo di lavoro interno
Il principale obiettivo di un sistema pensionistico è che duri nel tempo: è quindi importante che il sistema sappia “autoaggiustarsi” al variare delle tendenze demografiche, economiche e finanziarie, senza avere necessità di riforme continue ogni pochi anni, perchè questo distorce le scelte dei lavoratori, toglie certezze al sistema, genera disuguaglianze fra lavoratori colpiti e lavoratori non colpiti dalle riforme stesse.
Tutti i lavoratori devono poter determinare sempre con certezza le scelte da compiere a seconda della loro situazione e delle loro esigenze.
Fondamentale è avere un meccanismo equo fra le generazioni, un sistema che sappia distribuire i costi fra anziani e giovani, e fra ricchi e poveri, in maniera equa a seconda delle dinamiche sociali ed economiche in atto. Le riforme pensionistiche tendono invece a penalizzare sempre i giovani (chiedendo loro più contribuzione, abbassando le loro pensioni future o aumentando l’età pensionabile), senza mai toccare gli anziani, pensionati o pensionandi con la scusa dei “diritti acquisiti”.
Ultimo – ma non meno importante – obiettivo è quello di un sistema che non generi prestazioni pensionistiche troppo diverse fra loro e che riesca a garantire a tutti un tenore di vita sufficiente nella vecchiaia, dove i bisogni si livellano e le differenze di produttività e professionalità tendono ad annullarsi.
Il nostro sistema pensionistico, sofferente per problemi strutturali dovuti all’invecchiamento della popolazione e al calo del rapporto fra lavoratori attivi e pensionati, non può più reggere un sistema come quello che abbiamo oggi: ogni riforma, che alzi le aliquote contributive, aumenti l’età pensionabile o riduca l’importo delle pensioni, si traduce solo in un palliativo che dà ossigeno al sistema senza risolvere i suoi nodi strutturali e che carica sulle giovani generazioni un peso sempre più elevato, perchè ogni aggiustamento diventa sempre più pesante. Stante questa situazione, serve una riforma radicale che delinei un nuovo sistema pensionistico, rendendolo capace di reggere negli anni autoaggiustandosi rispetto alle dinamiche demografiche.
Come funzionano in generale i sistemi pensionistici:
Esistono 2 tipi di “meccanismi” in materia previdenziale: Sistema a ripartizione e Sistema a Capitalizzazione.
Nel SISTEMA A RIPARTIZIONE, come quello che utilizza il nostro primo pilastro previdenziale, ogni anno i contributi dei lavoratori servono a pagare la pensione ai pensionati. I contributi non vengono quindi accantonati, ma semplicemente “ripartiti” dai lavoratori ai pensionati, ogni anno. (es. io verso i contributi e i miei contributi servono a pagare la pensione di mio nonno). In linea di massima questo sistema non prevede alcun accumulo di fondi (la presenza di un Fondo accumulato nel nostro primo pilastro è una “anomalia”, dovuta al fatto che nei primi anni di vita del sistema si versava molto e si prelevava poco).
Nell’ambito del sistema a ripartizione, esistono 2 meccanismi di calcolo della pensione media (e quindi di ottenimento del cosiddetto “tasso di sostituzione”): il calcolo retributivo e il calcolo contributivo.
Il CALCOLO RETRIBUTIVO prevede che la pensione venga calcolata come una percentuale del reddito. Il reddito può essere la media dei redditi di tutta la vita lavorativa oppure una media degli ultimi anni (sta al legislatore scegliere quanti). Il rischio è sui giovani: dato il beneficio, un peggioramento delle condizioni demografiche costringe ad aumentare la contribuzione durante la vita lavorativa allo scopo di mantenere l’equilibrio finanziario del sistema.
Il CALCOLO CONTRIBUTIVO prevede che la pensione venga calcolata in base ai contributi versati, attraverso una specifica formula. Il montante contributivo (cioè la somma dei contributi versati e del loro rendimento) dipende dalla crescita dei salari nel tempo e dal tasso di interesse fissato dalla legge (solitamente collegato a variabili economiche, come il tasso di crescita dei salari, o della produttività, o della base contributiva, o del Pil, ecc…). La rendita pensionistica origina dal montante contributivo accumulato, a cui si applica un “coefficiente di trasformazione” che dipende dall’aspettativa di vita al momento della pensione. Il rischio è sugli anziani: data l’aliquota contributiva, un aumento dell’aspettativa di vita obbliga a dividere su più anni il montante contributivo o a modificare il coefficiente per mantenere l’equilibrio finanziario, e dunque a ridurre la prestazione.
Nel SISTEMA A CAPITALIZZAZIONE, come quello che utilizza il nostro secondo pilastro previdenziale, ogni contribuente versa i contributi e li accumula in un suo conto personale, che verrà investito e genererà un rendimento. Al momento del pensionamento, quello che deriverà dalla somma dei contributi e dei rendimenti generati costituirà il “montante contributivo” del contribuente, che gli verrà “spalmato” come pensione
Come funziona il nostro sistema pensionistico:
Primo Pilastro: Fondo Pensione – sistema a ripartizione con calcolo retributivo
Copertura previdenziale
Tre macrocategorie: lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi e agricoltori. Inoltre è previsto l’iscrizione obbligatoria al fondo pensioni dei soci di società di capitali (solo S.r.l.) degli amministratori e presidenti i società e co.co.co. all’interno della macro categoria dei lavoratori autonomi (gestione separata). Per questi ultimi soggetti la legge prevede che la pensione sia calcolata con il sistema contributivo.
Aliquote contributive
Riepiloghiamo di seguito l’adeguamento negli anni delle aliquote contributive:
- Lavoratori Autonomi.
- Lavoratori dipendenti
L’attuale aliquota a loro carico sarà pari al 5,4% + 14,3% a carico del datore di lavoro. Totale 19.7%.
QUALCHE DATO. Nell’anno 2014 i contributi previdenziali riferiti ai lavoratori subordinati (sia settore pubblico che privato) sono 104.212.836,00 € (di cui 79 milioni versati dal Datore e 24 dal Dipendente). 14 milioni circa i contributi previdenziali versati dai lavoratori autonomi nel 2014.
Totale: 118.163.664 €
Età pensionabile
Innalzamento graduale dell’età richiesta per il diritto alla pensione di vecchiaia a 65 anni nel 2017. (Nel 2011 sono richiesti 62 anni). Ulteriore innalzamento progressivo a 66 anni deciso dalla legge 158/2011.
Pensione di anzianità
Diritto della pensione di anzianità al compimento del 60esimo anno di età con 40anni di contributi, o almeno 35 con un disincentivo crescente al crescere degli anni mancanti al raggiungimento dei 40 (max 15%).
Innalzamento del requisito dell’età e delle contribuzioni per i lavoratori autonomi a partire dal 2019 per raggiungere nel 2022 un’età di 62 anni e 42 anni di contributi o 37 anni con il disincentivo.
Oltre alla possibilità di andare in pensione con 60 anni di età anagrafica e 40 anni di anzianità contributiva – la norma approvata nel 2005 introduce la possibilità di ottenere anticipatamente (ossia a 57, 58 e 59 anni) la pensione di anzianità, in misura ridotta ed in via permanente, a condizione che la somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva sia pari almeno a 100 (“quota 100”).
Gli abbattimenti percentuali permanenti sulla pensione ordinaria sono i seguenti:
– qualora l’assicurato abbia compiuto 57 anni di età e 43 di contributi, l’abbattimento è del 20%
– qualora l’assicurato abbia compiuto 58 anni di età e almeno 42 di contributi, l’abbattimento è del 15%
– qualora l’assicurato abbia compiuto 59 anni di età e almeno 41 di contributi, l’abbattimento è del 10%
Misura delle prestazioni
REGIME ISS
Nell’ambito del regime iss sussistono 2 metodi di calcolo: il calcolo stato e il calcolo iss.
Del primo possono beneficiare solo i dipendenti pubblici e settore pubblico allargato che sono stati assunti prima del 1983. Il calcolo della pensione viene fatto in base all’ultima retribuzione percepita.
QUALCHE DATO Nel 2015 sono 174 le pensioni erogate con il calcolo stato
Nel calcolo iss invece la pensione viene calcolata sulle retribuzioni degli ultimi 20anni e l’importo della pensione non può essere superiore alla media delle retribuzioni degli ultimi 5 anni se questa è superiore all’ultima retribuzione.
QUALCHE DATO Nel 2015 sono 7714 le pensioni erogate con il calcolo iss
Come si calcola la pensione con il calcolo ISS? C’è una formula: (2%*ANNI CONTRIBUTI*50%TETTO RETRIBUTIVO) + 0.75%*ANNI CONTRIBUTI*RESTANTE PARTE RETRIBUZIONE RISPETTO AL 50%TETTO)
Il tetto retributivo è stabilito per legge (attualmente è circa 45.000€).
Il reddito pensionabile è appunto la media delle retribuzioni percepite negli ultimi 20 anni.
Es. reddito pensionabile 30000€ e tetto 45.000
(2%*40*22.500) + (0.75%*40*7500)= 20.250€ pensione
N.B. Nonostante il tetto possono esserci prestazioni pensionistiche superiori all’ultima retribuzione percepita dal pensionato in quanto il calcolo della pensione viene effettuato sull’ammontare lordo dell’ultima retribuzione o reddito percepito. Tale condizione comporta che, non essendo più prevista contribuzione sulla pensione e che la tassazione risulta più favorevole rispetto a quella applicata sulle retribuzioni/redditi (abbattimento del 20% in luogo del 7%) di fatto la pensione netta può risultare superiore all’ultima retribuzione netta.
QUALCHE DATO. Nel 2015 sono 47 prestazioni pensionistiche superiori all’ultima retribuzione percepita.
REGIME STATO
In base ai dati del 2011, sono circa 400 pensioni rimaste pagate dal Bilancio dello Stato. Abbiamo chiesto dati aggiornati ma non ci sono stati forniti. Perchè?
Ritenuta di solidarietà
Per le pensioni da 1.500 a 1.750 Euro la ritenuta è del 2% per la parte eccedente ai 1.500 Euro. Gli scaglioni successivi di 500 euro mensili, prevedono percentuali maggiori.
Le ritenute di solidarietà sono state considerevolmente aumentate con l’art 47 della legge 174/2013. Infatti con tale articolo vengono aumentate le aliquote, a partire dal 1° gennaio 2014, per gli scaglioni da €1.750,01 fino ad €4.000,00, per un importo dell’1,5%.
In relazione agli scaglioni superiori ad €4.000,00 nelle more dell’adozione di provvedimento legislativo volto a stabilire il tetto massimo dei trattamenti pensionistici, le aliquote sono aumentate come segue:
- da €4.000,01 a €4.500,00 l’aliquota sulla parte eccedente €4.000,01 è pari al 15%;
- da €4.500,01 a €5.000,00 l’aliquota sulla parte eccedente €4.500,01 è pari al 20%;
- da €5.000,01 a €5.500,00 l’aliquota sulla parte eccedente €5.000,01 è pari al 25%;
- da €5.500,01 a €6.000,00 l’aliquota sulla parte eccedente €5.500,01 è pari al 30%;
- per l’importo eccedente €6.000,00 l’aliquota sulla parte eccedente €6.000,00 è del 35%.
QUALCHE DATO. Ricordiamo che le pensioni con importo superiore ai 4.000 Euro fanno riferimento principalmente alle cd pensioni Stato che sono circa 400 (dato 2011) e si andranno ad esaurire.
A queste vanno aggiunte 69 pensioni ordinarie con calcolo Stato e 147 con calcolo ISS che sono pensioni superiori ai 40.000 euro annui (dati novembre 2015). Si parla di circa il 2,7% dei pensionati totali.
Lo Stato finanzia il Fondo Pensioni?
Lo Stato interviene per non più del 25% del totale dei contributi di un anno (nel 2014: 118 milioni di contributi) e non meno del 10% sempre del totale dei contributi.
Nel 2016, nel previsionale, si stima un intervento dello stato per 17 milioni di euro nel FP.
Va considerato che, negli ultimi 2 anni lo Stato ha introdotto norme nella finanziaria che prevedono un versamento del 5% del totale dei contributi, anzichè del 10%, per avere meno uscite e quindi meno deficit (a spese dei fondi pensione).
QUALCHE DATO. Il concorso dello Stato nell’anno 2014 è stato di 14 milioni di euro. Si stima che nei prossimi dieci anni questa cifra salirà esponenzialmente visti gli aumenti dei contributi ed il deficit per via delle uscite per le prestazioni. Nel 2024 la stima del gruppo tecnico della Segreteria alla Sanità prevedeva un concorso dello Stato pari a 41 milioni di euro.
Ammontare del Fondo Pensioni
QUALCHE DATO. Al momento ci sono circa 368 milioni di euro che vengono investiti (rendimento 3%). I rendimenti sul patrimonio nel 2014 sono stati di 10.767.045, nel 2015 e nel 2016 attorno agli 11 milioni. Secondo le stime della Commissione sulla Spesa Previdenziale qualora il trend (contributivo-prestazioni) rimanesse invariato ci troveremmo ad avere un patrimonio negativo per il fondo già nel 2034 con un saldo economico e gestionale (entrate comprese di contributo dello Stato – uscite) negativo già nei prossimi 10 anni. Ovviamente il saldo previdenziale (-entrate escluso il contributo dello Stato – uscite) è già in deficit dal 2014.
Il nostro sistema pensionistico è perciò molto sofferente per problemi strutturali come si diceva in apertura: 1) invecchiamento della popolazione 2) calo del rapporto fra lavoratori attivi e pensionati 3) interventi in materia di incentivi contributivi per agevolare le assunzioni, che riducono le entrate dei fondi 4) le norme sui prepensionamenti della Pa volute dal Governo.
Consideriamo sempre che in un sistema a ripartizione occorre sempre rispettare questa formula, ogni anno:
(aliquota contributiva) * (numero di lavoratori) * (stipendio medio) = (pensione media) * (numero di pensionati)
Semplificando, arriviamo a questa formula:
(aliquota contributiva) * (rapporto lavoratori/pensionati) * (stipendio medio) = (pensione media)
Semplificando ancora, arriviamo a questa formula definitiva:
(aliquota contributiva) * (rapporto lavoratori/pensionati) = (tasso di sostituzione medio)
Con una aliquota contributiva attorno al 20%, servirebbe un rapporto di 3 lavoratori per ogni pensionato per mantenere un tasso di sostituzione anche solo del 60%. Ricordiamo che nel 2014 – ultimo dato disponibile – il rapporto era di 2,4:1 (circa 20.000 lavoratori attivi per oltre 8200 pensionati totali).
Con questo rapporto, mantenendo ferma l’aliquota, il tasso di sostituzione di equilibrio dovrebbe essere attorno al 48% e, se si vuole garantire una cifre più alta, non si può fare altro che andare ad erodere il fondo accumulato.
E una volta finito il Fondo? Ecco perchè diciamo che serve urgentemente una riforma sostanziale!
QUALCHE DATO. Secondo i dati avremo mediamente 323 pensionati in più nei prossimi 10 anni.
La gran parte dei nuovi pensionati nei prossimi 10 anni prendera’ fra 10.000€-15.000€ e fra 20.000€-35.000€. Questo conferma che si alzano le medie rispetto ad oggi (fra 20.000€ e 30.000€ c’è la parte più grossa dei nuovi), tale media si conferma anche per gli aventi diritto alla “quota 100”.
La proiezione a 10 anni indica una spesa di 18,5 milioni al mese (circa 240 milioni all’anno), situazione evidentemente insostenibile per qualunque sistema.
Ottenere una massa di contributi pari a 240 milioni all’anno, con una aliquota del 20%, significa avere 1.200.000.000€ di monte stipendi su cui calcolare i contributi.
Se il reddito medio si mantiene sui 33.000€ significa avere 36.300 lavoratori (autonomi + dipendenti) impiegati, mentre oggi siamo a circa 18.000 lavoratori.
Se i lavoratori arrivano a 23.000, occorre applicare una aliquota del 31,6% agli stipendi per mantenere l’equilibrio.
Se restano attorno ai 20.000, occorre applicare una aliquota del 36,3% agli stipendi per mantenere l’equilibrio.
Secondo Pilastro: Fondiss – sistema a capitalizzazione
Fondiss è il Fondo di Previdenza Complementare dell’Istituto per la Sicurezza Sociale della Repubblica di San Marino istituto con la legge n. 191 del 6 dicembre 2011.
Fondiss ha lo scopo di assicurare, al momento dell’età pensionabile, la liquidazione di un’ulteriore pensione, detta appunto complementare, che si affianca alle prestazioni del Sistema di Previdenza Principale (Fondo Pensione). E’ fondato su un sistema di finanziamento a capitalizzazione, che consiste per ogni iscritto nella creazione di un conto individuale in cui confluiscono i versamenti contributivi.
L’iscrizione al Fondo è obbligatoria per tutti i lavoratori che al momento dell’entrata in vigore della legge (22/12/2011) non avevano compiuto i 50 anni di età. Per questa fascia di lavoratori nonchè per studenti, assistenti ad infermi e tutti gli altri soggetti, sammarinesi o residenti, non iscritti al Sistema di Previdenza Principale è prevista la facoltà di aderire volontariamente.
Fondiss è gestito da un Comitato Amministratore composto da nove membri di cui due nominati dalle rappresentanze consigliari di maggioranza, uno indicato dalle rappresentanze consigliari di minoranza, tre indicati dalle associazioni sindacali dei lavoratori e tre indicati dalle associazioni datoriali e dei lavoratori autonomi. Rimangono in carica tre anni e possono essere rieletti per un solo mandato.
Nella seduta del 29 giugno 2015 il Consiglio Grande e Generale ha proceduto al rinnovo triennale del Comitato Amministratore di Fondiss con la nomina di Raffaele Bruni, Luca Filanti, Sante Ruggero Lonfernini, Mirko Muccioli, Renato Nibbio, Angela Piazzolla, Martina Poggiali, Lino Sbraccia, ed Alessia Scarano.
Nel corso della prima della seduta di insediamento il nuovo Comitato Amministratore ha eletto all’unanimità, al suo interno, Lino Sbraccia alla carica di Presidente, seguendo il criterio di rotazione annuale previsto dalla legge.
La gestione amministrativa è dell’ISS: supporto amministrativo, contabile, tecnico e legale, nella gestione delle spese di funzionamento (posta e cancelleria) e nell’adeguamento dei sistemi informatici in essere presso l’ISS necessari per la raccolta dei contributi e l’erogazione delle prestazioni legate alla previdenza complementare, operazioni che sono e saranno svolte dal personale dell’Istituto stesso.
La banca depositaria è Banca Centrale. BCSM fa anche consulenza tecnica gratuita al Comitato Amministratore per come investire le risorse nel fondo e ovviamente controlla che questi fondi vengano investiti secondo le disposizioni in vigore nel nostro Stato in maniera trasparente.
Gestione fondo del Comitato Amministratore che può avvalersi di soggetti terzi sammarinesi autorizzati da BCSM (ce ne sono 18 al momento). Gestione – minimizzare i rischi e abbattere i costi – gestione pubblica- per avere rendite positive.
Ammontare del fondiss al momento il fondo ha circa 10 milioni di euro ma fra 10 anni si stima che si arriverà ai 150 milioni di euro da gestire.
Aliquote contributive: I lavoratori e per loro conto le imprese versano ogni mese una quota (quando entrerà a regime nel 2018 si arriverà al 2% versato dal lavoratore e al 2% versato dall’impresa, adesso è 3% ovviamente diviso al 50% fra lavoratore e d.l.) che finiscono in FondISS.
Differenze fra sistema a ripartizione e a capitalizzazione
I sistemi a ripartizione, essendo basati su un debito fra lo Stato e gli assicurati ed essendo basato su un trasferimento di reddito dai lavoratori ai pensionati, presentano 2 rischi fondamentali:
- un rischio politico, tale per cui il governo potrebbe, a sua discrezione, per motivazioni elettorali, di bilancio, di tenuta del sistema e così via, modificare le regole del gioco. Questo rende incerto il patto pensionistico, e genera un’asimmetria informativa a vantaggio dello Stato, che può incentivare comportamenti poco virtuosi (es: ritiro anticipato dal lavoro);
- Ma soprattutto un rischio demografico, tale per cui un aumento dell’aspettativa di vita incrementa il numero di anni di percepimento della pensione, a parità di età pensionabile e, parallelamente, un calo del tasso di natalità riduce il numero di lavoratori che potranno finanziare le pensioni degli anziani, imponendo quindi una riduzione delle prestazioni o un aumento della contribuzione, per mantenere l’equilibrio finanziario.
I sistemi a capitalizzazione, essendo caratterizzati da un investimento durante il periodo lavorativo a cui corrisponde una rendita, subiscono:
- In grandissima parte, un rischio finanziario, tale per cui la pensione che si percepirà dipende dalla rischiosità dell’investimento, dal rendimento dei mercati finanziari, dai costi di gestione del fondo, ecc..in ultima analisi dai livelli di rischio e rendimento del mercato;
- in misura minore un piccolo rischio demografico, limitatamente al solo aspetto dell’aumento dell’aspettativa di vita, che provoca la necessità di dividere il montante su più anni;
Il rendimento del sistema a capitalizzazione, escludendo i costi di gestione, è approssimabile il tasso d’interesse medio di mercato.
Il rendimento del sistema a ripartizione dipende dal tasso di crescita della produttività, dal tasso di crescita della forza lavoro e dal loro prodotto, cioè, in ultima analisi, dal tasso di crescita dell’economia.
Mediamente, in una economia, il tasso di interesse supera il tasso di crescita dell’economia.
Ma al prezzo di una maggiore volatilità e di un maggiore rischio.
Ecco perchè serve un equilibrio fra i 2 sistemi, cercando di sfruttare le potenzialità e le peculiarità dell’uno e dell’altro.
Proposte C10
- Gestione Accentrata Pubblica dei Fondi
A nostro avviso i beni della collettività devono essere gestiti in maniera pubblica e trasparente senza che interessi privati possano metterne a rischio l’incolumità per scopi di parte senza perseguire finalità pubbliche e collettive.
Il Fondo deve essere:
- PUBBLICO
- TRASPARENTE
- CONTROLLATO
- OCULATO
Questi principi cardine servono a evitare rischi nella gestione dei fondi pubblici. Rischi che possono derivare da interessi privati, da inefficienze di gestione o da conflitti d’interesse. Se dovesse essere presente anche solo uno di questi fattori, l’incolumità dei fondi pubblici sarebbe messa seriamente a rischio. E contestualmente, i contribuenti vedrebbero sempre minor certezza di ricevere una pensione loro adeguata.
Per ottenere benefici da una Gestione Accentrata Pubblica, la proposta che abbiamo portato al Tavolo era quella di “accentrare” tre fondi già presenti in Repubblica ai quali, tutti, obbligatoriamente versiamo una quota. I tre fondi sono:
- FONDO PENSIONE PRIMO PILASTRO
- FONDO PENSIONE SECONDO PILASTRO (FONDISS)
- FONDO SERVIZI SOCIALI (FSS)
Questi tre fondi gestiscono approssimativamente € 426.000.000 che sono così suddivisi:
- Fondo Pensioni 1 Pilastro: 360.000.000 (fonte Fixing)
- Fondo Pensioni 2 Pilastro (FONDISS): 18.000.000
- Fondo Servizi Sociali: 28.000.000 (dati bilanci 2013)
Ciò che vogliamo sottolineare ed introdurre come principi fondamentali per la gestione dei fondi pubblici dei cittadini sono alcune regole di gestione ed amministrazione che possano rendere efficiente e sicuro il Fondo generando utili certi per i contribuenti che, quando arriverà il momento giusto, si rivolgeranno al Fondo per richiedere la propria pensione.
Chiediamo la creazione di una società di gestione finanziaria di questi fondi accentrati, che si occupi di preservarne e possibilmente incrementarne il valore, minimizzando i rischi.
Le caratteristiche di questa SGR dovranno essere:
- 100% PUBBLICA
- IMPOSSIBILITÀ DI PRIVATIZZAZIONE
- BANDI PUBBLICI E TRASPARENTI DI SELEZIONE PER I DIPENDENTI
- COLLABORAZIONE TRA LE VARIE STRUTTURE PUBBLICHE
- OPERATIVITÀ MONITORATA COSTANTEMENTE
- TEMPORANEITÀ’ DEI RUOLI
NUOVO MODELLO PENSIONISTICO (SISTEMA SVEDESE)
FUNZIONAMENTO GENERALE DEL NUOVO SISTEMA
Si va a creare un sistema obbligatorio e pubblico su 3 comparti sul modello applicato in Svezia, nello specifico:
a) un comparto universale a ripartizione, che eroga una pensione minima differenziata in 3-4 fasce al massimo, di importo non troppo diverso fra loro, a seconda degli anni di contributi del lavoratore, prevedendo forme di incentivazione per chi rimanga al lavoro oltre la “quota 100” (vedi sotto). Si tratta, di fatto, di una forma di welfare minimo erogato agli anziani nella loro vecchiaia: l’importo di tale pensione può essere più o meno grande a seconda delle scelte politiche, ma dovrà essere sufficiente per garantire un tenore di vita dignitoso a tutti i pensionati. In un primo momento, e per un buon numero di anni, riteniamo sostenibile e coerente con l’equilibrio dei fondi che questo comparto eroghi una pensione media pari ad 1/3 del reddito medio di tutti i lavoratori dipendenti (in questo momento sarebbe circa 10 mila euro annui). Ovviamente, tenendo fissa la quota contributiva (vedi punto successivo), che non si vuole andare ad aumentare per non rendere il sistema economico meno competitivo, l’autoaggiustamento del sistema avviene sul fronte della prestazione: se la popolazione invecchierà e occorrerà garantire questa quota universale a più persone per più tempo, occorrerà adeguare la prestazione pensionistica per mantenere l’equilibrio.
b) un comparto contributivo a ripartizione, che eroga una pensione legata ai contributi versati, trasformando i contributi in pensione con l’applicazione di una formula (calcolo contributivo appunto). Tale comparto serve per far sì che vi sia una forma di risparmio differito remunerata secondo i parametri del sistema a ripartizione (cioè secondo l’andamento dell’economia). Ad essere fissati saranno i contributi: infatti prevediamo che la somma dei contributi destinata a finanziare il primo e secondo comparto (quello universale e questo contributivo) sia pari, ogni anno, il 20% del reddito del lavoratore. Chiaramente, questo comporta che più aumenteranno le prestazioni erogate dal primo comparto universale (per effetto dell’invecchiamento della popolazione), più serviranno risorse per finanziarle: nel tempo, in sostanza, una parte sempre maggiore di questo 20% servirà a finanziare il primo comparto, quello universale, mentre una parte sempre minore finanzierà questo comparto contributivo. Di conseguenza, nel tempo, si convergerà verso un sistema dove questo comparto contributivo tenderà a sparire ed il sistema a ripartizione garantirà di fatto solo la pensione universale. Al momento del pensionamento, la prestazione garantita da questo 2° comparto varierà a seconda dei contributi versati al suo interno, del tasso di crescita medio dell’economia negli anni lavorativi del lavoratori, e dell’aspettativa di vita al momento del pensionamento (maggiore età anagrafica significa minore aspettativa di vita e quindi necessità di “spalmare” i contributi versati su meno anni). Il sistema a ripartizione (primo + secondo comparto) garantirà la prestazione a partire da quota 100: il pensionato che abbia raggiunto una somma pari a 100 fra età anagrafica e anzianità contributiva può accedere al pensionamento. Chiaramente, più posticipa il pensionamento e meglio sarà per lui perchè percepirà una pensione più alta sia dal primo comparto (per effetto dei maggiori anni di contributi) che dal secondo comparto (per effetto della minore aspettativa di vita al momento del pensionamento)
c) un comparto a capitalizzazione, a contribuzione definita, con conti individuali per ogni lavoratore, investimenti delle risorse sui mercati finanziari e/o in economia reale e prestazione dipendente dal tasso di rendimento degli investimenti. Qui ad essere fissata sarà la contribuzione (un minimo obbligatorio iniziale del 4%, l’attuale aliquota per Fondiss, che andrà progressivamente innalzato fino al 10%, più una quota libera determinabile a scelta dal contribuente), mentre la prestazione varierà a seconda del rendimento degli investimenti. La gestione di questo 3° comparto a capitalizzazione dovrà essere pubblica, come nell’attuale 2° pilastro previdenziale, con precisi limiti agli investimenti e attenzione alla diversificazione del rischio e, in caso di investimento nell’economia interna, alla “produttività” dell’investimento.
La pensione totale deriva ovviamente dalla somma della pensione erogata da ognuno dei 3 comparti.
TETTI PENSIONISTICI NEL NUOVO E NELL’ATTUALE SISTEMA
A regime questo meccanismo previdenziale non prevede tetti massimi, essendo di fatto limitata per legge la prestazione erogata dal sistema a ripartizione, mentre il sistema a capitalizzazione (essendo un investimento finanziario a conto individuale) per sua natura non può prevedere tetti.
Al fine di non disincentivare il lavoro regolare di chi, in base al suo reddito e ai suoi anni di contributi, abbia già raggiunto il livello massimo di prestazione erogabile dal sistema a ripartizione (comparto universale + comparto contributivo) potrà essere possibile (su opzione del contribuente) girare una parte (fino al 50%) dei contributi destinati al 1° e 2° comparto sul 3° comparto(dove la prestazione cresce al crescere dei contributi versati).
Tuttavia, trattandosi il comparto universale di una forma di welfare, prevediamo che qualora l’importo totale di reddito e pensioni del nucleo familiare superi una certa soglia, la quota di pensione universale tenda a calare in maniera proporzionale.
Facciamo un esempio, ipotizzando che la soglia sia 40 mila euro annui totali. Marito prende 10 mila euro da pensione universale, 2000€ secondo comparto da e 10000€ da sistema a capitalizzazione. Moglie prende 10 mila euro da pensione universale, 1500€ dal secondo comparto e 8000€ da sistema a capitalizzazione. Assieme totalizzano 41 mila e 500€ euro all’anno.
Il sistema prevederà che, trattandosi di un superamento della soglia di 1500€, la pensione universale venga ridotta di una quota, ad esempio, di 500€. Se il superamento fosse stato, ad esempio, di 2000€, allora la riduzione della quota universale sarebbe stato maggiore (1200€ ad esempio). E così via. Le cifre sono ipotetiche e oggetto di discussione, ma l’idea è questa: al crescere del reddito complessivo della famiglia diminuisce la necessità di welfare e quindi l’importo della pensione universale.
Fino a che la riforma non sarà compiuta, e rimarrà in vigore l’attuale meccanismo a ripartizione a calcolo retributivo, occorre introdurre un tetto massimo alla prestazione pensionistica erogabile, pari all’85% del reddito medio dei lavoratori dipendenti (ad oggi sarebbero circa 27.500€ annui). Questo tetto dovrà riguardare tutte le pensioni, che siano a regime ISS, a regime Stato o a regime ISS a calcolo Stato, e dovrà riguardare sia le pensioni in essere sia quelle che verranno.
Per le pensioni in essere, se superiori al tetto, si potrà ipotizzare un raggiungimento del tetto in 5-7 anni, attraverso un taglio progressivo della pensione.
Per i lavoratori (dipendenti o indipendenti) che abbiano già raggiunto il proprio tetto massimo di pensione in base ai calcoli, potrà essere lasciata l’opzione di girare una parte (fino al 50%) dell’aliquota contributiva dovuta nell’attuale 2° pilastro o in una forma di previdenza individuale.
RIVALUTAZIONE PENSIONI
Le pensioni andranno rivalutate ogni anno, per il 1° e il 2° comparto, sulla base dell’andamento dell’economia (potendo quindi crescere o scendere di valore) perchè questo è l’unico modo per mantenere l’equilibrio finanziario nei sistemi a ripartizione. L’adeguamento fatto tramite l’inflazione non consente, purtroppo, di raggiungere questo obiettivo.
Per il meccanismo a capitalizzazione si faranno appositi contratti di assicurazione con imprese che si assumano il rischio inflazione e il rischio demografico.
DIFFERENZIAZIONE RESIDENTI-NON RESIDENTI
I contribuenti non residenti, o residenti da meno di 10 anni, potranno accedere a pieno titolo alle prestazioni del primo comparto universale solo qualora abbiano versato contributi per almeno 20 anni in territorio.
Il comparto universale configura infatti una forma di welfare che viene erogata anche a chi non ha versato nulla o poco. Risulta sensato, quindi, garantire questa prestazione sociale solo ai residenti, estendendola ai frontalieri solo in caso di una quota significativa di anni di contributi.
Qualora il lavoratore non residente non abbia i requisiti di cui sopra, la sua pensione sarà calcolata solo sulla base delle regole del secondo comparto (calcolo contributivo, applicando una formula “di trasformazione” ai contributi versati)
REDDITI MINIMI
Tutte le condizioni di calcolo, età pensionabile e modalità di erogazione saranno uguali fra lavoratori dipendenti e indipendenti.
SUDDIVISIONE DEL PESO DEI 3 COMPARTI
Il peso di ogni comparto dipende dalle scelte politiche che un Paese decide di compiere: nel modello da noi delineato, il primo e il terzo avranno in prospettiva un peso preponderante, configurando un sistema capace di garantire a tutti gli anziani un reddito adeguato a prescindere dai versamenti (grazie al comparto universale), ma anche di tutelare il risparmio fatto durante la vita lavorativa e la continuità del reddito (grazie al comparto a capitalizzazione).
AIUTI PER I GIOVANI NEL SISTEMA A CAPITALIZZAZIONE
La progressiva introduzione del meccanismo a capitalizzazione, e l’innalzamento della contribuzione ad esso destinata, comporta inevitabilmente che le generazioni più giovani paghino 2 volte (per farsi il proprio “conto” e per pagare le pensioni del sistema a ripartizione).
Lo Stato dovrebbe ridurre questo carico finanziando adeguatamente, ogni anno, l’apposito Fondo previsto dall’art 9 della legge 157/2005 tramite trasferimenti dal bilancio dello Stato, tramite apposite “imposte di ritorno” a carico delle pensioni più elevate che ricadano negli attuali regimi privilegiati, tramite tagli alle pensioni di reversibilità e, in prospettiva, tramite i risparmi derivanti dalla non erogazione della pensione sociale (che si può abolire, essendoci il comparto universale). Potrebbe essere sensato anche utilizzare a questo scopo una parte del Fondo accumulato nel primo pilastro, o almeno i suoi rendimenti annuali (che come abbiamo visto sono circa 10-11 milioni all’anno).
PENSIONI DI REVERSIBILITÀ
Quando la riforma sarà a regime, intendiamo prevedere che la pensione di reversibilità sia legata ad un parametro ISEE, e quindi alle condizioni economiche/patrimoniali del superstite ed agli oneri a carico.
Infatti, la presenza di un comparto universale in teoria dovrebbe garantire a tutti la possibilità di vivere dignitosamente, anche in caso di morte del superstite. Tuttavia, in presenza di situazioni sociali di particolare rilevanza (necessità di pagare l’affitto ad esempio, necessità di assistenza continua domiciliare, figli a carico, mutui a carico, ecc…) o di condizioni economiche particolarmente disagiate, risulta necessario garantire una quota di reversibilità
In attesa dell’ISEE, occorre prevedere una soglia massima di pensione totale (pensione propria + reversibilità) al di sopra della quale non si può salire, ed applicare questo tetto anche alle reversibilità già in essere, tagliandole progressivamente fino a consentire al superstite di raggiungere quella soglia.
POSSIBILITÀ DI LAVORARE NEL NUOVO E NELL’ATTUALE SISTEMA
Non esiste in questo sistema la possibilità che i pensionati svolgano attività lavorativa, essendo già previsti incentivi per la continuazione dell’attività già prima di andare in pensione.
La stessa cosa che deve avvenire nel regime attuale, in attesa della riforma. L’unica eccezione può essere per chi abbia solo la pensione sociale.
Il non rispetto di queste norme dovrà essere punito con la sospensione della pensione per un certo numero di mesi, numero crescente sulla base del numero di violazioni.
TRANSIZIONE AL NUOVO SISTEMA
La transizione dall’attuale modello a questo dovrà avvenire con questi passaggi:
1) approvazione di una legge che delinei questo nuovo modello così descritto e lo faccia entrare in vigore dal 1/1 dell’anno successivo;
2) da lì in poi, tutto il periodo di lavoro effettuato dall’entrata in vigore della riforma in avanti vedrà il versamento dei contributi e il calcolo della pensione sulla base delle nuove regole (ovviamente l’importo della pensione universale di cui al 1° comparto verrà rapportato agli anni di contribuzione nel nuovo modello);
3) il periodo precedente verrà calcolato sulla base delle vecchie regole e, qualora la pensione totale superi la pensione che sarebbe derivata applicando le nuove regole all’intero periodo contributivo, essa verrà tagliata attraverso una specifica “solidarietà di ritorno” in modo tale da portarla, in massimo 10 anni, al livello che sarebbe derivato applicando il nuovo sistema.
Non possono esistere in questa materia, lo ripetiamo ancora, diritti acquisiti, considerato che questi diritti acquisiti esistono sulle spalle dei lavoratori che devono sobbarcarsi un carico sempre più pesante.
4) Rispetto al precedente punto 3, per calcolare l’ipotetico rendimento del meccanismo a capitalizzazione (un rendimento ipotetico, non esistendo, nelle attuali regole, un meccanismo a capitalizzazione e quindi non essendoci un periodo contributivo nel sistema a capitalizzazione), si utilizzerà il tasso di rendimento medio dell’economia del periodo contributivo fatto con le vecchie regole.